La lavorazione dei metalli nell’antichità
Molti storici concordano nel far coincidere la nascita della civiltà con il momento in cui i nostri antenati impararono a forgiare oggetti utilizzando i materiali che la natura offriva loro. Per millenni l’uomo ha utilizzato legna, pietre, pelli, ossa e altri materiali per la produzione di attrezzi e ornamenti.
Ma circa 8000 anni fa l’umanità scoprì la lavorazione dei metalli, grazie alla quale avrebbe dato avvio alla strabiliante evoluzione tecnica, tecnologica e culturale che ci ha portati ad assurgere al ruolo di specie dominante sul pianeta. L’utilizzo di materiali metallici per la produzione di oggetti è stato talmente importante da dare il nome ad alcune fasi della storia dell’umanità.
Il primo metallo ad essere utilizzato fu il rame: diffuso, malleabile e con un basso punto di fusione, era molto semplice da lavorare. L’età del rame iniziò circa 6000 anni prima di Cristo, nelle regioni del Vicino Oriente. Parallelamente, l’umanità imparò a lavorare alcuni altri minerali con punto di fusione particolarmente basso, tra cui l’oro: già molti millenni fa gli orafi erano in grado di eseguire lavorazioni sbalorditive, che hanno lasciato oggetti preziosi di impareggiabile bellezza, molti dei quali si sono conservati sino ai giorni nostri.
Attorno al 3500 a.C., l’uomo scoprì che miscelando metalli diversi era possibile ottenere le leghe, materiali con particolari caratteristiche fisiche e tecniche, superiori a quelle dei metalli puri. Dall’unione di rame e stagno fu possibile ottenere un materiale più resistente e lavorabile, che in breve tempo divenne ampiamente diffuso: era iniziata l’età del bronzo.
Le tecniche di lavorazione erano ancora rudimentali: i minerali metallici venivano fusi sul fuoco all’interno di piccoli crogiuoli e il liquido ottenuto, spesso ricco in impurità, veniva poi versato in stampi per ottenere attrezzi, monili, monete e altri piccoli oggetti. Questi primi prodotti metallurgici erano sicuramente elementari, ma più resistenti di quelli in osso o legno e più versatili di quelli in pietra.
Attorno al 1200 a.C., grazie ad una sempre maggior capacità nell’utilizzare e controllare il fuoco, l’uomo fu in grado di lavorare il ferro, più resistente di molti altri materiali ma con un punto di fusione molto più elevato (1538°C). Dopo esser stato fuso, forgiato e battuto nelle forme desiderate, il ferro veniva temprato in acqua fredda: questo trattamento gli conferiva una resistenza eccezionale, rendendolo l’elemento d’elezione per la produzione di armi e armature.
L’evoluzione delle tecniche di lavorazione dei metalli nella storia
La sempre maggiore importanza acquisita dai metalli nella vita di ogni giorno portò alla nascita di nuove professioni e allo sviluppo degli scambi commerciali, indispensabili per rifornirsi di minerali metallici estratti in regioni lontane del globo. In ogni centro abitato sorsero botteghe di fabbri, orafi e carpentieri. Per molti secoli, tuttavia, la lavorazione dei metalli rimase un’attività prettamente manuale ed artigianale, senza variazioni di rilievo nelle tecniche utilizzate.
La prima, enorme svolta nel ramo metallurgico e siderurgico si ebbe con la rivoluzione industriale, nel XXVIII secolo. Grazie all’introduzione del motore a vapore e alla realizzazione di imponenti macchinari, le lavorazioni vennero almeno in parte automatizzate. Divenne possibile forgiare e lavorare parti metalliche imponenti, che sarebbero state irrealizzabili con le sole forze umane; l’automazione, inoltre, permise la produzione in serie di oggetti standardizzati, tutti uguali tra loro nella forma e nella dimensione.
Con l’introduzione delle macchine laminatrici, fu possibile ridurre i metalli in lamine di pochi millimetri, più semplici da stoccare e lavorare. Le prime macchine laminatrici, utilizzate più che altro come strumenti per la finitura di oggetti già formati, risalgono al 1615 circa: era costituite da coppie di cilindri d’acciaio a distanza regolabile che venivano fatti girare tramite la forza idraulica o animale.
Durante la rivoluzione industriale, l’efficienza di questi macchinari fu incrementata, dotandole di un motore a vapore e aggiungendo un terzo rullo. Già nel 1851, all’Esposizione Universale di Londra, vennero presentate al pubblico grandi macchine in grado di produrre, a freddo, fogli di metallo spessi 11 millimetri, larghi 1 metro e lunghi fino a sei.
Sgrassatura, decapaggio e passivazione: come si sono evolute nel tempo
Il continuo incremento delle conoscenze scientifiche ha permesso, negli ultimi secoli, l’introduzione e lo sviluppo di lavorazioni basate su principi fisici e chimici, sia nelle fasi preliminari del processo, sia al momento della finitura.
La sgrassatura, utilizzata per rimuovere residui di olio e grassi dai pezzi e dalle superfici metalliche in vista di successive lavorazioni, inizialmente veniva effettuata per abrasione meccanica; con l’evoluzione del sapere scientifico fu però possibile mettere a punto processi differenziati, a seconda del tipo di metallo, del tipo di grasso di rimuovere e del grado di contaminazione. Oggi vengono utilizzati quattro principali processi di sgrassaggio:
- pulizia a spruzzo, a freddo, utilizzando l’azione meccanica di getti ad elevata pressione. Questo trattamento permette di rimuovere anche residui di ruggine ed eventuali altre impurità adese al metallo;
- sgrassaggio a vapore: i pezzi da pulire vengono inseriti in una camera al cui interno si trova un solvente vaporizzato, che scioglie le sostanze grasse e oleose dalle superfici. È un processo utilizzabile solo per pulire pezzi con un livello molto contenuto di contaminazione;
- bagni ad immersione: i pezzi vengono immersi in vasche di sgrassaggio in cui si trovano soluzioni chimiche alcaline e tensioattivi. Spesso le sostanze chimiche sono a temperatura elevata, per velocizzare le reazioni chimiche di pulizia.
- pulizia vibratoria: i pezzi vengono fatti vibrare a frequenza molto elevata, per allontanare grassi, trucioli e impurità senza usare sostanze chimiche. I residui vengono poi aspirati via dall’area di lavorazione.
Il decapaggio è un procedimento utilizzato su acciaio inox, rame, ottone, ferro e alluminio per prepararli alle lavorazioni successive (cromatura, verniciatura, passivazione), eliminando in maniera controllata ossidi, sporco e incrostazioni per mezzo di sostanze chimiche acide o basiche.
I pezzi e le superfici da ripulire vengono di norma immerse in vasche contenenti acidi forti (come l’acido solforico, l’acido fluoridrico, l’acido nitrico e l’acido cloridrico) o soluzioni alcaline (tipicamente di idrossido di sodio). Con l’incremento del sapere scientifico, alle soluzioni acide o basiche sono state aggiunte sostanze con funzione protettiva, per evitare che le superfici pulite ed esposte si ossidino a contatto con l’ossigeno atmosferico o vengano corrose dalle stesse soluzioni pulenti.
Ulteriori miglioramenti di processo hanno spinto verso l’uso di temperature elevate per velocizzare le reazioni chimiche di pulitura. Per determinati materiali, la ricerca ha dimostrato una maggior efficacia del decapaggio elettrolitico. La passivazione, infine, è un processo chimico effettuato su rame, ottone e acciaio inox per prevenire la corrosione di superfici e parti metalliche.
Consiste nel deposito, attraverso ad una reazione elettrolitica, di un sottile film di materiale compatto, poco poroso ed uniforme che aderisce perfettamente al metallo e impedisce la reazione con gli agenti ossidanti. Ideata attorno al 1750 immergendo ferro in acido nitrico, è stata perfezionata negli anni, utilizzando composti chimici sempre più concentrate e nuovi elettroliti, tra cui l’acido solforico. Il processo elettrolitico è oggi stato affiancato da altre tecnologie più semplici ed economiche da realizzare, come la passivazione per immersione o a spruzzo.